La Festa di Sant’Agata a Catania (Sicilia) è un rito che coinvolge la città intera, estremamente devota alla “Santuzza” catanese. E’ la terza festa religiosa più grande al mondo e ad animarla ci sono loro, i “devoti” vestiti con “u saccu”.
La devozione verso Sant’Agata a Catania è fortemente radicata in ogni strato sociale. Ogni anno, dal 3 al 5 Febbraio e, ancora, il 17 Agosto, la città siciliana interrompe ogni altra attività e mette in moto la colossale macchina dei festeggiamenti in onore della Santa patrona.
Durante la Festa di Sant’Agata, il fercolo (o “Vara” in catanese) viene trainato dai devoti e condotto in giro per la città, in modo che tutti gli abitanti possano salutare la Santa e accompagnarla in processione.
Il fercolo di Sant’Agata, in argento, pesa oltre 17 quintali e contiene il Busto reliquiario e lo Scrigno (anch’essi in argento) con le reliquie della Santa.

A trainare il pesante fercolo in giro per la città sono delle figure caratteristiche della Festa di Sant’Agata, i “devoti“. Utilizzando due cordoni lunghi oltre 200 metri, alle cui estremità sono poste quattro maniglie, i devoti a Sant’Agata trainano la Vara lungo un complesso percorso tra le vie di Catania. I devoti si riconoscono perché indossano un abbigliamento particolare, detto “u saccu”.
“U saccu”: l’abito dei devoti a Sant’Agata
Il saio bianco (“u saccu” in Catanese) è il vestiario utilizzato dai fedeli durante le processioni in onore di Sant’Agata.
Chi lo indossa, lo fa per tradizione per chiedere una grazia, per una grazia ricevuta o, più semplicemente, per devozione.
U saccu è corredato da un copricapo di velluto nero (“scuzzetta”) che simboleggia l’umiltà, da un cordone monastico da legare in vita, da guanti e fazzoletto, rigorosamente bianchi, colore simbolo di promessa, purezza e devozione.

La tradizione del saio bianco di Sant’Agata ha origine antichissime.
Il 17 agosto del 1126 le spoglie di sant’Agata fecero ritorno da Costantinopoli (erano state trafugate e portate via da Catania). La popolazione, per l’occasione, si riversò in strada in piena notte. Si narra che la gente, svegliata di soprassalto, corse in strada a piedi nudi e con camicie da notte e abiti da camera bianchi.
Da quel momento in avanti, l’atto di indossare “u saccu” assunse un significato diverso e profondo. Molti sono i devoti che si vestono di bianco, per chiedere grazie o per mostrare pentimento, e che agitano il fazzoletto al passaggio della Santa, gridando: “Tutti devoti tutti! Cittadini! Cittadini! Viva Sant’Aita!”.
Altre spiegazioni del colore del saio indossato dai devoti a Sant’Agata ricollegano il colore bianco degli indumenti alle tuniche indossate durante antiche feste pagane in onore di Iside, successivamente trasformate in celebrazioni cristiane, come si crede sia accaduto proprio per la Festa di Sant’Agata a Catania.

Le urla dei devoti: tra religione e folklore
Chi ha partecipato almeno ad uno dei giorni di festeggiamento, sa bene che ogni rito collegato alla Festa di Sant’Agata è accompagnato da forti emozioni, commozione, trepidazione collettiva e grande partecipazione da parte di tutti i Catanesi, devoti e non.
La fede, l’eccitazione, la devozione, si mescolano e esplodono in grida, canti e preghiere, che scandiscono lo spasmodico muoversi della calca e il lento ma cadenzato movimento della “Vara” per la città.

I devoti ripetono, a piena voce, come una fragorosa cantilena, parole antiche, tramandate nei secoli dai Catanesi e trasformate in veri e propri inni alla loro “Santuzza”.
“Semo tutti devoti tutti! Cittadini! cittadini! Viva Sant’Aita!”
“Co saccu e senza saccu facemaccillu na pplausu a Santaituzza bedda!”
“U veru devotu non e chiddu ca si metti u saccu e veni ca ma e chiddu ca ti potta rispettu e dignità!”
“Fazzoletti ni viru assai ma uci ni sentu picca, isamula sta biniritta uci!”
“Ddi cudduni tutti ianchi
senza uci e troppu stanchi.
Ni facemu st’acchianata
pi Sant’Aita a nostra amata.
Na puttamu peri peri
nde so strada e ne quatteri.
Belli fochi ci sparamu
e che fazzuletti a salutamu.
Quanti chianti ni facemu
dopu n’annu quannu a viremu.
Iu ti scrissi sta poesia
Sant’Aituzza si a vita mia.”